Quanti anni sono che sentiamo parlare di un mondo che cambia? Le organizzazioni che si trasformano, il lavoro che cambia, la tecnologia che spinge a un ripensamento e a una riprogettazione dei processi e delle culture organizzative.
E poi ecco che con il 2020 si affaccia al mondo quanto di più inaspettato e stravolgente si potesse immaginare: una pandemia e con essa una radicale trasformazione della vita di tutti noi. La messa in discussione delle nostre abitudini, anche le più banali. Ma, soprattutto, per noi italiani un nuovo modo di pensare e di interpretare la nostra quotidianità lavorativa, le dinamiche ad esse connesse e molte di quelle azioni che avevano significato sino a quel momento il “cambiamento intrapreso”, l’orgogliosa trasformazione di alcune organizzazioni.
Ad oggi ci appare molto chiaro che cambiare, trasformarsi per un’organizzazione in una società liquida, com’è stata definita da Baumann, è una necessità, abbiamo anche condiviso che le trasformazioni sono una forma di adattamento, di resilienza a un contesto in continuo cambiamento e spesso ci siamo sentiti raccontare perché e quanto sia importante cambiare.
Oggi, però, vorrei provare a spostare l’attenzione non tanto sul perché si cambia, ci si trasforma, ma piuttosto sul come si cambia e su quanta importanza assume il come si costruisce la trasformazione di un’organizzazione nell’influenzare anche il cosa si riesce poi realmente a fare.
Il come si trasforma un’organizzazione, come si trasformano i suoi processi, come si ingaggiano le persone in questo cambiamento non sono elementi secondari, ma anzi sono elementi che svolgono un ruolo primario, fondamentale per dare vita in modo vero e concreto ad una trasformazione organizzativa.
Come mi capita spesso di sottolineare per quanto possa essere bello e accurato un ridisegno organizzativo, quello che farà la differenza è l’aderenza tra quello che è stato pensato e scritto sulla carta e quanto poi accade realmente nella quotidianità lavorativa. Mi è capitato spesso, troppo spesso, di avere a che fare con manager orgogliosissimi, giustamente, del processo di reingegnerizzazione organizzativa messa in atto, ma che poi si scontrano con la realtà quotidiana, dove questo ottimo lavoro di ridisegno non trova riscontro e in molte occasioni non viene messo in atto, ma soprattutto non genera il cambiamento atteso.
Allora ecco la nostra esperienza e la conseguente riflessione ci ha portato a non sottovalutare l’importanza del contributo delle persone al cambiamento. Un cambiamento che per essere efficace deve innanzitutto essere coinvolgente e partecipato. Per poter trasformare un’organizzazione non basta dichiararlo, pubblicizzarlo e forse neanche proporlo. Si deve innanzitutto costruire i presupposti per trasformare la sua cultura organizzativa, manageriale, operativa.
A questo proposito mi ha sempre colpito e trovo assolutamente esplicativa quella pubblicità dove la figlia regala al padre un ipad, senza spiegargli di cosa si tratta e la prima volta che va a cena da lui scopre come utilizza il suo regalo: l’ipad è diventato un favoloso tagliere, che va a anche in lavastoviglie!! A dimostrazione che uno strumento è uno strumento, ciò che fa la differenza è come lo si usa. Qualsiasi strumento può avere tutte le potenzialità del mondo, ma se lo usiamo male non serve o serve a poco.
Per questo motivo noi partiamo dalle persone per trasformare la cultura e con essa le organizzazioni. Il come diventa il fulcro fondamentale del nostro sostegno alla trasformazione.
Non c’è forza che tenga, se vuoi cambiare realmente e consapevolmente la cultura e, quindi, la tua organizzazione devi fare in modo che le tue persone credano prima di tutto in loro stesse e anche nel progetto di trasformazione.